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People pleasing

Oggi ti parlo di altruismo! Nello specifico del fenomeno del people pleasing.

Trovi il giusto equilibrio tra il dare e il rispettare i tuoi bisogni?

Esiste una forma di altruismo quasi compulsiva: il people pleasing.

Come suggerito dal termine inglese l’atto di dare è mosso dal bisogno di compiacere l’altro.

Quali sono i vantaggi?

Ridurre il rischio di conflitto, separazione e di un giudizio negativo.

E alcuni essere umani trovano in questo modello di compiacenza un meccanismo di difesa per arginare la paura di restare soli.

Dare ha un rimando sulla nostra identità: ci fa sentire bene.

Ma quando diamo troppo rischiamo di perdere di vista i nostri bisogni.

Cerca di aiutare senza farti annientare!

Ricorda che dire di no oltre un certo limite, se senti che quella situazione non ti fa bene, non significa essere una persona cattiva o egoista.

Dai finché ti va di dare ma coltiva anche quella dimensione di egoismo sano che contribuisce a farti sentire bene.

Riesci a rispettare questo delicato equilibrio tra il dare all’altro e il tuo bisogno?

O ti fai annientare dal people pleasing?

Viene a scoprirne di più sul profilo Social @psicoexplorer

Individualità nella relazione di coppia

Stai con una persona per quello che provi o per quello che l’altro ti dice di provare?

Sposta il focus su di te per non perderti nella relazione di coppia!

Coltivi la tua individualità?
O sacrifichi tutto per la relazione?

Pensa a quell’amico o quell’amica che una volta impegnato scompare.

Non lo vedi più!

O ancora ai sogni che una persona coltiva e che trovano sempre meno spazio una volta ingaggiati nella relazione affettiva.

Ma siamo sicuri che una relazione debba necessariamente eliminare la tua individualità?

Relazione significa reciprocità e condivisione è vero.

Occorre negoziare!

Ma non metterti da parte, mai!

Altrimenti il rischio sarà quello di perderti e coglierti nell’altro.

E questo alla fin fine ti farà soffrire.

Difendi la tua individualità nella coppia?

Relazioni Tossiche nel 2021: come riconoscerle?

Perché la vittima di quelle che si definiscono relazioni tossiche o di un comportamento violento di una persona che professa amore nei suoi riguardi continua a restare dentro quella dinamica relazionale senza andarsene?


La risposta banale orientata alla relazione causa effetto è in questo caso molto limitante.

E’ vero che il buon senso ci porterebbe ad affermare “beh, se lui o lei ti trattano male, semplicemente allontanalo!”, eppure i fattori emotivi e psicologici connessi a questa dinamica sono molto molto delicati. Per questo le chiamano relazioni tossiche.

Partiamo anche da un presupposto essenziale: quelle che si definiscono come relazioni tossiche (e a tutti gli effetti è un modo di dire per evidenziare uno sbilanciamento nella coppia) non nascono come tali ma lo diventano.

La relazione funziona tuttavia gradualmente le funzioni affettive perdono quell’equilibrio o ancora non riescono a completarne la configurazione e quindi questo sbilanciamento inizia a generare sofferenza in uno o in entrambi i partner. Ecco come le relazioni diventano relazioni tossiche.


Cosa succede nella vittima? Perché, spesso, anche ricevendo insulti, botte, umiliazioni e denigrazioni questa continua a restare mano nella mano con il suo partner aguzzino?


Oppure immaginiamo una figlia abusata dal padre nel clima connivente della propria famiglia: perché lei permette a quello stesso padre di accompagnarla all’altare nel giorno del suo matrimonio? Dovrebbe essere ferita, arrabbiata, furiosa, vendicativa e invece no, tutto sembra accadere normalmente, come se niente le fosse successo.


La risposta, come avrai inteso, non è univoca e le variabili in gioco sono moltissime: il sé e l’identità personale sono spesso danneggiati da una gamma di emozioni quali colpa, paura per le conseguenze su altre figure familiari, dipendenza affettiva o economica, la speranza che il partner o la figura abusante possa cambiare tornando ad incarnare quel valore ideale del principe azzurro, un valore misericordioso verso il prossimo che implica un tema di accudimento (senza di me lui non può farcela).

O ancora il desiderio è quello di cambiare o salvare il partner con l’intento di modificarlo o ancora di essere proprio l’elemento che può generare in lui o in lei cambiamento.

Ma noi non possiamo mai cambiare gli altri. Noi possiamo intervenire sul nostro modo di relazionarci con gli altri. E quando il vissuto genera continuamente dolore allora diventa importante interrogarci su cosa quella relazione ci stia dando.


Spesso i sentimenti della vittima verso il proprio aguzzino sono profondamente ambivalenti: si prova amore per un padre abusante, ma anche disprezzo e questa battaglia emotiva guidata dal contraddittorio renderà molto molto difficile per la vittima demarcarsi dal suo aguzzino.


In alcuni casi può manifestarsi una vera e propria Sindrome di Stoccolma tra la vittima e l’aguzzino, quindi la vittima vivrà in uno stato di dipendenza psicoaffettiva e mostrerà un sentimento positivo verso l’aggressore fino a diventarne complice sottomessa e si instaurerà una vera e propria relazione di alleanza e solidarietà tra vittima e carnefice.

Una donna su tre dichiara di aver subito violenza nel corso della sua vita ma solo il 12% è arrivata a denunciare. Solo una donna su due all’interno delle relazioni tossiche si stacca dal partner aguzzino entro otto anni.


I fattori come la paura di reazioni disastrose del partner come l’omicidio, lo stalking, la presenza di figli e uno stato di dipendenza economica sembrano i fattori principali che mantengono in essere queste relazioni tossiche.

Inoltre anche una specie di visione di sé come figura salvifica dell’altro porta ad una specie di missione ostinata perché l’altro possa cambiare in uno stato di totale negazione della violenza subita.


Uscire dalle relazioni tossiche si può! Se sei intrappolata in questo tipo di relazione chiedi aiuto ad uno Psicologo o chiama il numero rosa 1522 perché puoi tornare a respirare con i giusti strumenti e validando finalmente i tuoi bisogni, partendo da te e dalle tue risorse.

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Dipendenza Affettiva: la psicoterapia ti può aiutare

Quando la tua felicità e la tua realizzazione personale vengono affidate e delegate all’altro, ecco che possiamo parlare di dipendenza affettiva.

Se noi inizieremo a vivere solo per l’altro con l’obiettivo di soddisfare i suoi bisogni il senso di noi stessi verrà meno e la nostra identità, polarizzata all’estremo sull’alterità, perderà la capacità di auto alimentarsi, mantenersi in termini più autoreferenziali e il senso di stabilità personale ci darà rimandi di adeguatezza o no sulla base dell’altro.

Alla luce delle dinamiche sopra descritte la domanda “hai paura di rimanere da solo/a?” assumerà un senso molto orientato affettivamente. In qualche modo, complici le proprie insicurezze e un basso senso di autoefficacia, il dipendente affettivo perderà quasi il senso dell’esistenza senza un’alterità significativa che sarà fonte di stabilità e definizione di sé.

La dipendenza affettiva si traduce quindi nella delega all’altro del controllo sulle proprie emozioni.

I segnali di dipendenza affettiva all’interno della dinamica relazionale possono essere: perdita del senso di sé, esclusione dei propri bisogni emotivi centrandosi sul soddisfacimento di quelli dell’altro, visione del partner come estensione di sé, bassa autostima e paura della solitudine, difficoltà di fiducia, sentimenti di non essere meritevoli d’amore e felicità, idealizzazione del partner, gelosia.

La psicoterapia e un lavoro attivo e responsabilizzato su di sé possono portare benefici significativi.
Si ricomincia da sé e dalle proprie risorse e autonomie.

Con la Psicoterapia è possibile rinascere!

Puoi approfondire altri contenuti qui https://bit.ly/3CeNuTA