“Nel mezzo del cammin della vera vita, eravamo circondati da una malinconia oscura, che tante parole tristi e beffarde hanno espresso, nel caffè della gioventù perduta” (Guy Debord)
Citazione tratta dall’omonimo libro del Nobel per la letteratura Modiano.
Il caffè della gioventù perduta parla d’altro in realtà: di un bar e di tante persone che l’hanno frequentato. Di una figura che aveva l’obiettivo di annotare tutti i nomi di coloro i quali passavano a “Le Condè” a caccia di punti fermi a Parigi. L’attenzione si sposta poi su Louki una donna misteriosa descritta dagli occhi di 4 persone secondo 4 diversi punti di vista.
Perché questa premessa?
Perché oggi spesso ci sentiamo persi nell’assenza di riferimenti solidi. Questo genera un senso di vuoto e confusione su quanto proviamo e rispetto all’altro.
Citando Recalcati, banalizzando, non esiste “Io” senza “Altro”.
Infatti se ti chiedo di parlarmi di te tu mi parlerai d’altro (famiglia, amici, lavoro).
Siamo il continuo compromesso tra noi e l’altro.
Ma a volta qualcosa si blocca.
Vengono meno i punti fermi ed i riferimenti.
Lo sguardo anziché generare speranza e movimento prospettico si volge all’indietro e si tocca con mano la malinconia.
Tale malinconia è essa stessa la vita.
La vita è amore e perdita.
Nel caffè della gioventù perduta annotiamo i nomi dei passanti (De Andrè), di chi ci ha fatto compagnia solo per un istante e oggi non c’è più perché semplicemente ha preso un sentiero diverso dal nostro.
Questo apre alla dimensione del dolore ma è essenziale imparare a conviverci e passeggiarci a braccetto.
Perché la gioventù perduta può essere una maturità ritrovata: “ l’avere ancora da essere”.