Per ansia intendiamo quei comportamenti che provocano eccessiva preoccupazione o paura che non sono controllabili dal soggetto che li vive.
Il minimo comune multiplo sotteso al vissuto emotivo tendente all’ansia è un elevato “arousal” (attivazione) caratterizzato da sentimenti di allarme e iper vigilanza.
A livello evolutivo l’ansia ha sempre avuto un valore adattivo con l’obiettivo di provocare allerta e reazioni di fuga nell’essere umano che la sperimentava.
Possiamo definire quindi l’attivazione ansiosa come una risposta dell’organismo molto antica che si è trasformata nel corso del tempo.
I nostri antenati potevano trovarsi esposti a situazioni particolarmente pericolose: andare a caccia poteva portare all’incontro con un animale feroce e l’attivazione ansiosa aveva, biologicamente, in quel momento della storia, lo scopo di leggere la situazione di pericolo e riorganizzare tale significato reagendo per sopravvivere.
Il comportamento ansioso e, più in generale, l’organizzazione del cervello è ancora, chimicamente e biologicamente, ancorata a modi molto antichi di funzionamento.
L’uomo antico era abituato a ricevere un feedback (risposta) conseguente alla propria azione nell’immediato (es. “ho fame” -> “vado a caccia” -> “mangio”). Il cervello si è quindi organizzato in modo strutturale seguendo questo modus operandi comportamentale a livello evolutivo (il sistema di ricompensa).
Cosa è cambiato oggi? La società è evoluta e con essa anche il modo di vivere d’ansia.
Oggi l’ansia si configura in un momento di crisi personale, lavorativa, affettiva e quindi nell’iper attivazione emotiva quando siamo posti di fronte ad un ostacolo o una situazione apparentemente insormontabili o non rispecchiando aspettative particolarmente elevate di altre persone su noi stessi o nostre a noi stessi.
In psicoterapia il lavoro non ha tanto a che fare con la ricerca della “soluzione del problema”. Questa porterebbe spesso ad ulteriore immobilità poiché l’essere umano che vive quella situazione difficile passa già, probabilmente, tutte le sue giornate a ricercarne una.
L’obiettivo, nel corso di un percorso di psicoterapia, è quello di porsi la domanda giusta: “che cosa posso fare per stare meglio? Come posso muovermi nella mia vita per trovare un equilibrio anche calcolando quella difficile situazione spaventante e angosciante che mi provoca ansia?”.
Ecco come il focus dell’attenzione slitta dalla “ricerca della soluzione” alla responsabilità personale che l’essere umano ha in questa o in quell’esperienza rispetto al modo di porsi di fronte ad una possibilità orientata progettualmente.
L’obiettivo è quindi quello di trasformare il proprio modo di essere, crescendo, trovando quei significati nella propria vita che ci danno un rimando di stabilità personale portandoci a vivere e fare esperienza nella quotidianità in modo più autentico con il nostro vissuto emotivo.
La società ultra moderna del nostro tempo presenta spesso un’organizzazione di feedback e rimandi in antitesi con quel modo antico di essere che descrivevo in precedenza. Spesso l’uomo ultra moderno compie un’azione o uno sforzo senza ricevere un feedback nell’immediato (es. “mando un cv oggi per trovare lavoro domani”). Si crea quindi una frattura tra quel modo biologico antico, proprio di alcune strutture neurali arcaiche, che ricerca invece una gratificazione nell’immediato. Quest’incongruenza può portare a sperimentare ansia o immobilità (depressione).
Oggi l’attivazione ansiosa diventa clinicamente significativa quanto invalidante e si possono sperimentare sintomi quali: irrequietezza o tensione psichica costante, sensazione di fatica cronica, difficoltà nella concentrazione e nella memorizzazione, nervosismo, irritabilità, tensione muscolare locale o generalizzata, alterazioni del sonno, rimuginio e incapacità di controllare la preoccupazione. Altri disturbi d’ansia riguardano gli attacchi di panico e le fobie che presentano una sintomatologia più viscerale configurata in: palpitazioni e tachicardia, perdita di controllo e paura di impazzire, dispnea e senso di soffocamento, nausea e vertigini, sudorazione, paura di morire, derealizzazione o depersonalizzazione (percezione del mondo che rimanda ad un senso di estraneità), brividi o vampate di calore, tremori, dolore o fastidio al petto.
Possiamo trovare l’ansia anche in alcune manifestazioni ossessive in quel senso esistenziale di insicurezza tipico di chi si ritrova in questo modo di soffrire.
La psicoterapia è quindi un percorso di crescita personale che può portare ad una vera e propria trasformazione di sé: un lavoro che richiede motivazione e responsabilità attiva nell’analisi di sé che potrà condurre ad un equilibrio personale maggiore e caratterizzato da maggior benessere psicologico. L’essere umano ha la tendenza a “raccontarsela” e accettare situazioni profondamente infelici e disfunzionali pur di non affrontare la paura di aprirsi al cambiamento. La psicoterapia serve anche per cogliere questo “prendersi in giro” quotidiano e fare ordine, chiarezza nel proprio sentire emotivo dando un nome alle emozioni e riposizionandosi nella propria storia personale in modo più coerente con la propria identità.